lunedì 20 giugno 2011

E soffia ancora.

Ormai l’abbiamo capito: il vento di Milano, quello che dopo aver spazzato la Padania si è messo a soffiare su coste e vallate lontane, non ha un’unica origine, non ha un’unica direzione. Nel vento di Milano hanno soffiato il maestrale di Cagliari, lo scirocco di Napoli e la Bora di Trieste, oltre che le folate alzatesi in volo da molte altre città italiane. E in questo vento reticolare, improvviso e imprevisto hanno volato idee insieme concrete e visonarie, idee che sembravano smarrite in un Paese che aveva perso il gusto di pensare al suo futuro prossimo.
Nelle raffiche di queste settimane, soffia il progetto di aprire le scuole pubbliche alla vita dei quartieri; di aprirle ogni giorno dell’anno, per ogni ora del giorno, per tutte le età della vita. Di aprirle all’associazionismo, alla cooperazione, alle reti di zona; senza limitarsi a difenderle dall'abbandono, ma provando a trasformarle nella vera grande primaria infrastruttura sociale delle nostre città.
Nel vento poliedrico che ha unito l’Italia soffia potente l’idea di una, di tante, città-mondo. Di città che non ospitano più delle minoranze da integrare, ma piuttosto delle estesissime reti cosmopolite che già innervano la vita quotidiana. Che già oggi sono risorse indispensabili per il lavoro, l’innovazione, lo scambio commerciale.
Ma nelle raffiche di questo vento spira potente anche una nuova idea della cultura di impresa. Della cultura del rischio sociale che unisce migliaia e migliaia di imprese minute e dinamiche, di giovani e professionisti e artigiani e imprenditori individuali che hanno deciso di trasformare le loro traiettorie individuali di vita in comunità di destino, di rischiare insieme per costruire qualcosa che fino ad ora, fino ad adesso, non c’era.
E soffia incessante in questo vento italiano la corrente profonda di un’ecologia urbana che non si propone solo come ambientalismo, ma come il vero nuovo motore dell’ economia delle nostre città. Un’ ecologia che orienta le energie del fare impresa verso un’agricoltura di prossimità capace di nutrire gli utenti dei grandi servizi urbani. Un’ecologia che trasforma i tetti delle case in superifici per captare la luce del sole e chiede con la forza di un voto popolare che l’unico grande evento globale che si terrà in Italia – l’Expo di Milano del 2015 – regali all’Italia il primo Parco Agroalimetare Planetario e non un affare di immobiliaristi avidi e politici piccoli.
Il vento di Milano e di Napoli e di Cagliari, il vento dell’Italia, il vento dei Referendum e delle città liberate dal berlusconismo, il vento che ha spiazzato tutti, nasce dai sospiri di milioni di donne e uomini e merita una politica diversa.
Perché a soffiare in questi giorni sul’Italia non è una formula tattica brillante, un nuovo equilibrio tra i partiti del centro sinistra, la personalità di un grande leader.
A soffiare è il vento di un nuovo riformismo, che ha aperto le finestre dei salotti dove ristagnava da anni l’indignazione compiaciuta di una sinistra rassegnata a perdere. Un riformismo radicale, che non si è accontentato di indicare delle soluzioni, ma le accompagna a realizzarsi, passo per passo, pronto a correggersi in corsa. Un riformismo coraggioso che pretende di portare a termine le sue idee visonarie e insieme pragmatiche. E che si ostina a voler anticipare, nel quotidiano presente, pezzi di un futuro possibile.

Stefano Boeri

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